Non mi ha mai intrigato particolarmente la maratona. Si, è una gara storica, piena di significato, storica, forse LA gara, ma cosa c’è di bello nel correre in piano? Dov’è la difficolta? Niente salite, niente discese, niente sterrato.
Però ad essere sincero, mi ha anche sempre intimorito. 42 km non sono pochi, ce la faccio? Non è che la finisco strisciando? Forse era tutto normale, forse era giusto così, se da una parte non ero consapevole del suo valore, dall’altro il timore che ne avevo era solo il dovuto rispetto che si dovrebbe avere.
Qualche mese fa ho scoperto un paio di youtubers, come li chiamiamo noi giovani, che corrono forte per davvero. Ovviamente americani, perché si sa che sono sempre più fighi, ed entrambi documentavano settimana dopo settimana la preparazione alla loro prima maratona. Peccato che per la loro prima volta avessero deciso di tentare il famoso OTQ, per dirlo all’americana. Olympic qualifying time, in sostanza il tempo minimo per accedere ai trials americani per le Olimpiadi; 2:19. Una media di circa 3:20 al km, o giù di li.
Insomma, inizio a seguire questi due tapascioni della domenica fino a che, due mesi fa, comodo sul divano, vedo un servizio su una maratona. Non mi ricordo neanche in che città fosse, so solo che in quel momento mi sono convinto, e come una rivelazione ho capito “voglio fare la maratona”. Corro subito in camera e computer alla mano inizio a cercare il calendario. Dopo un paio di giorni mi decido che Reggio Emilia potrebbe essere la scelta giusta. È la città più vicina geograficamente, non costa un rene, e soprattutto mi consente di mettere in piedi una preparazione decente da finirla senza andare a rinunciare più di tanto al trail e allo sci alpinismo. Chiedo conferma al coach Simone di non star facendo una cazzata e mi rassicura che in un paio di mesi si può per lo meno pensare di concluderla. Affare fatto, Reggio Emilia sia!
Mi ci vogliono ancora un paio di giorni prima di convincermi del tutto, ogni tanto ritorna forte il timore, ma ormai non posso tirarmi indietro. La preparazione non è proprio da manuale: uso un paio di gare collinari sui 30 km come lunghi, e poi ne aggiungo uno su strada una decina di giorni prima della gara. Un pelo a ridosso forse, ma confido nella mia giovinezza e in un recupero attento.
Poi arriva il sabato prima della gara, finalmente. Arrivo in treno a Reggio Emilia, così non ho problemi di traffico, stanchezza post gara e ansia da guidatore. Faccio un giro per il centro, che mi piace particolarmente sotto Natale: molto medievale, con costruzioni romaniche di mattone rosso e le luminarie; poi ritiro il pettorale e torno a casa. Incontro Steven, l’altro inquilino dell’appartamento che ho prenotato. È uno scozzese che lavora a Milano e cerco un po’ di conforto in lui, più esperto in fatto di maratone. Mangio una buona dose di pasta e poi mi ritiro in camera per il solito stretching e forma roll prima di dormire. Una notte ovviamente agitata mi proietta alla mattina della gara. Parlando con Steven riesco a mitigare la tensione e mangiare più del solito, ottimo, visto che mangio sempre poco. Mi vesto ed esco, in dieci minuti di cammino sono in centro, poso la borsa e mi scaldo un po’. In griglia inizio a tranquillizzarmi per davvero, mi fa sempre bene vedere che non sono l’unico, ma ci sono altre migliaia di persone con cui condividerò le ansie, le fatiche e si spera, le gioie.
Finalmente partiamo, i primi km li percorriamo nel centro storico, su ciottoli e in mezzo alla gente, poi iniziamo ad uscire verso i campi. Mi accorgo di essere un pelo troppo veloce rispetto a quanto volevo, ma penso che siano i primi km in cui vieni spinto da tutta la gente, man mano mi stabilizzerò sul passo giusto.
All’ottavo km noto al lato della strada un rifornimento non ufficiale: un uomo sulla cinquantina indossa un pellicciotto che lascia scoperta solo una pancia importante, le guancia rosse indicano che a quel ristoro non troverai sali e acqua, ma vino e salme. Sorrido, ma diciamo che per ora passo.
Man mano mi accorgo che è inutile scappare, e mi accodo al gruppo trainato dal pacer delle 3 ore: speravo di distanziarlo un po’, ma per ora mi va bene sapere che la gara me la gestisce lui.
Passiamo in un tratto sterrato, cosa che pensavo impossibile per una maratona, e poi imbocchiamo una ciclabile in leggera salita che lascia una bella visuale sulle pianure verdi e in lontananza le colline. I Km passano e mi ritrovo al passaggio della mezza a pensare che però questa gara è proprio lunga! Passiamo in circa 1h29’ e ne manca ancora almeno altrettanto! Il pacer ci dice che siamo in anticipo di 15-30 secondi, e io penso che non siamo messi così bene, ma lui sembra fiducioso. Gestisco bene i gel e bevo qualcosa ai ristori e continuo a “tirare” il gruppo guidato dal pacer.
Mi si affianca un signore con la tuta rossa Ineos e mi dice “provo a stare con te, che hai un bel passo”, “vediamo per quanto dura” gli rispondo con la classica scaramanzia, “poi acceleriamo” aggiungo ironicamente. Sono le uniche parole che scambierò in tre ore, perchè a quel ritmo, per 42 km, anche una parola di troppo può essere un problema. Dal 25esimo km inizia la parte divertente della gara: prima una salita piuttosto impegnativa e poi ancora due o tre discese e risalite. Qui devo ringraziare il pacer, ci ha incitato per tutta la gara, chiedeva al pubblico di applaudire e ad ogni salita ricordava di non spingere, ad ogni discesa di lasciarsi andare; qualche minuto di gara risparmiato lo devo anche a lui.
Finita la salita del 25esimo inizio ad essere stanco e a sentire le gambe un po’ pesanti, ma c’è chi è messo peggio di me e riesco ad allungare un po’ sul gruppo delle tre ore. Poco più avanti mi riprendono e mi accorgo che alla fine è meglio così. Rimanere sulle tre ore alla prima maratona può non andarmi così male, e poi è inutile “attaccare” quando mancano ancora 10 km.
Non ho troppi ricordi dell’ultima parte di gare, qualche curva secca, il ristoro dell’atletica di Reggio, e le strade che avevamo percorso all’andata che mi fanno capire che ormai non manca molto.
Però ho un chiodo fisso: finire in meno di tre ore. Quindi ai -4 km aumento un pochino l’andatura e senza accorgermene distacco il pacer e gli ultimi stoici che gli erano attaccati. 4 km sembrano pochi, ma in quel caso mi sono sembrati molto lunghi. 4 km a controllare l’orologio per assicurarmi di stare sotto il ritmo delle tre ore, 4 km incitato da tanti “vai amore, forza che manca poco”. Non erano rivolti a me, ovviamente, ma al signore che mi ha seguito nel forcing (se così vogliamo chiamarlo); ma quell’incitamento l’ho comunque fatto mio. Usciamo finalmente dalla pista ciclabile che mancano 2km, forse meno. Continuo a sorpassare e farmi sorpassare dal signore incitato dalla moglie, poi all’ultimo km accelero ancora, quando arrivo sul ciottolato e capisco che mancano circa 500m sto correndo a 3’30 e scopro che i calcoli erano giusti. Taglio il traguardo in 2h58’36”, 42,195km alla media di 4’13/km.
Mi danno la medaglia, forse quella di cui vado più fiero e mentre me la mettono al collo capisco il valore di una medaglia da finisher. Mi accorgo che camminare non è cosa banale, una volta finita l’inerzia della corsa. Cerco di mangiare qualcosa e poi vorrei piangere. Non mi è mai capitato, però voglio piangere, sono commosso. Ovviamente mi trattengo, e questo mi rende scontroso per una buona mezz’oretta, ma poi passa.
Mi lavo con calma e pranzo, poi mi gusto ancora una volta una passeggiata per il centro di Reggio, che mi piace davvero tanto con quest’aria natalizia. Concedo un pezzo di erbazzone, mia nuova passione, e poi prendo il treno per Milano.
È stato bello, davvero. Forse più di tanti Trail, forse perchè è qualcosa di diverso, forse perchè è qualcosa di mitico, forse perchè finché non la si corre a 3’30 la maratona è più una corsa interiore che non una gara. Credo che un corridore, di qualsiasi tipo, dovrebbe correrne almeno una nella vita. Non ne avevo mai capito la grandezza, ma ora che l’ho sperimentata non vedo l’ora della prossima.