Max Bertina, amico ISKYT, ci parla del Madeira Ultra Trail

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L’amico Max Bertini ci racconta la sua MIUT 2017

Ce l’aveva promesso… Max non è tesserato ISKYT (per ora!!!) ma ce lo aveva promesso.. “se vado a Madeira per la MIUT (115 km / 7100 D+) e avrò la fortuna di tagliare il traguardo, vi scrivo due righe..” beh, Max è una persona di parola ed in quanto tale ci ha preparato un bel reseconto.. non sono proprio due righe e non lo possono essere visto la lunghezza e la durata della competizione ma sono molto piacevoli e divertenti e soprattutto utili per farci capire cosa ha provato. Originalissima l’allucinazione riguardante Marx..haha.. originale almeno quanto lo stesso Max.

Buona lettura.

 

589º Massimiliano Bertini Italy 31:37:00

 

Ecco mi sono riservato di scriverti cosa è stata per me questa gara. Sono partito con delle speranze e dei piani precisi, ma anche con la sensazione che forse un po’ avrei pisciato fuori dalla tazza. Essere all’interno di un evento internazionale è la cosa che da vigore alle mie speranze, una festa della fatica in cui mi sento sempre cittadino del mondo. Certo bisogna correre, bisogna aver lavorato per poter correre e bisogna avere un bel po’ di sana fame. I piani come sempre sono andati a ramengo, tutto si è rigirato contro già dopo un’oretta quando per il freddo ho perso sia iPod con la musica che telefono. Pazienza, fiatone persistente e la “fretta” hanno contribuito ad accettare la sfiga. Vi avrei posto rimedio poi. La notte è trascorsa tra sbalzi di temperatura, vomito degli altri e continui “hey it’s ok? Need help?”. La traccia intanto si snodava sui vertical aggressivi del primo tratto scale, scale, fango e freddo. Bello concentrato viaggiavo con qualche difficoltà sulle discese tecniche ed infide di scale e fango e terreno pesante, ginestre/eucalipti/verde lussureggiante. In cima il vento e le stelle. Il mattino oltre a darmi luce e buone indicazioni orarie mi ha regalato una sana congestione, dolore crescente, invalidante. Ho ignorato e ho proseguito. Piegato, prostrato e affranto dalla sensazione che il mio bel quadretto era andato in frantumi, ho limitato si e no ad un quarto d’ora la frustrazione dei piani fottuti del vetro in frantumi. Potevo camminare e avrei camminato, il mio bambino aspettava la medaglia e poi magari sarebbe passata. Quindi due grasse bestemmie e sono ripartito con il nuovo piano andare al traguardo senza fermarmi più avevo 65km da fare e dei cancelli orari. Oltre al dolore anche i bruscitti all’aglio che davano ai ristori che mi venivan su. A metà ho trovato i miei bambini, mia moglie e i suoceri. Nel ristoro sono quasi svenuto. Un bello sclero e per farmelo passare mi son fatto una doccia calda. Ne sono uscito piegato, ma avevo di nuovo fretta e l’idea di arrivare al Pico Ruvio e poi al Pico de Areires, o come cazzo si scrive, la cima più alta. Salita tecnica piena di scale e panorami mozzafiato, vento freddo e gente che vomita, gente che vomita dall’inizio alla fine. In cima dopo un’eternità di scale e dolore trovo mia moglie con la pasta, sono le 20, dovevo essere 25 km più avanti se non già in vista di Machico. Mangio la pasta mentre uno mi vomita di fianco. Riparto nel vento. Comfort del pasto caldo vola via col vento freddo e ricomincia il dolore. Scendo veloce in mezzo alla polvere, in mezzo alle ginestre cercando di perdere quota più velocemente possibile per riscaldarmi, la notte prima le stelle e le stelle cadenti avevano cullato le mie fantasie, ora si vede poco la polvere e la frontale non giocano a mio favore. Una discesa strana, affascinante con un paio di denti verticali tipo secondo/terzo grado alpinistico. Ho soccorso una ragazza che vomitava, me la sono trascinata per un po’, non troviamo il ristoro. Il dolore aumenta ma stringo i denti. Immagini e pensieri, ragiono su chi ha resistito al peggio e parto dai legionari romani, cerco punti di forza e opportunità nella calamità. Mi manca ancora una fottuta montagna prima della discesa finale. Al check point mi dicono che sarò in ritardo sul cancello orario, mi prende lo sconforto, vorrei vomitare e invece mi trovo a ruggire la mia disperazione al pensiero del mio bambino che mi aspetta e parto come una moto da trial. Arrivo su al check point, due bicchieri di acqua gasata (qui ce l’hanno ai ristori, sono seri) e via in discesa barcollando ma di corsa. Scale di merda. Arrivo con 10 minuti di anticipo, acqua gasata e riparto, provo a correre ma ho praticamente grippato e poi cominciano le allucinazioni, prima un alieno, poi Marx, poi John Cena in una foglia. Parte un viaggio psichedelico a tema steampunk. Meraviglioso ma alla lunga non so più dove guardare, passo un tratto a picco sul mare dove barcollo e guardò verso il nero della notte ascoltando il mare e il vento, almeno non vedo nulla e rimango agganciato alla realtà, passo gole su gole mentre mi coglie l’alba, e soprattutto l’acqua, ecco pensandoci mi è piovuto addosso di brutto intorno alle 4 del mattino ma dirti dove ero ancora non lo so. Poco male, vedo in 3D ma me ne sbatto il cazzo per fermarmi mi devono sparare. Arrivo all’ultimo check point che mi dicono che devo fare ancora 4 chilometri e credevo di aver finito, li mando a fare in culo e riparto. Arrivo con le scope. Evito solo di schiacciare le vomitate del Portoghese che mi ha tracciato il sentiero fin qui. Voglio solo andare a casa. Corro l’ultimo chilometro come forma di rispetto. Attraverso il traguardo, poso l’osso. Prendo la mia medaglia e vado a casa. Ad oggi vivo un frammisto di dispiacere e soddisfazione, ho portato a termine il compito e ho vissuto una bella avventura, ho lottato coi denti ed in un certo senso ho vinto. Speravo in altro, il mio castello che avevo costruito è crollato e sono un po’ smarrito so che va bene così e che ne devo trarre il meglio. Sono stato in mezzo ai miei simili e sono stato bene. Ora devo guardare avanti a nuovi progetti. Madeira mi è rimasta nel cuore, ha ragione il mio amico Beretta, dagli ultra torni diverso, non migliore o peggiore, semplicemente diverso. E forse questo senso di non senso è solo il processo di adattamento al nuovo me.

Grazie ancora Max per il tuo resoconto. A presto.

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